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16 October 2019
RECENSIONE - “GIOCHI FINITI E INFINITI: UNA VISIONE DELLA VITA COME GIOCO E POSSIBILITÀ” DI JAMES P. CARSE

Un gioco è il modo in cui un giocatore interagisce con altri giocatori, secondo certe regole e con certe conseguenze. La prospettiva del gioco può essere finita o infinita. Con la prima l’obiettivo è vincere, con la seconda è prosperare.

“Non sono forte perché posso costringere gli altri a fare ciò che desidero come risultato del mio gioco con loro, ma perché posso permettere loro di fare ciò che desiderano nel corso del mio gioco con loro”
JAMES P. CARSE

“La sorpresa provoca la fine del gioco finito ed è la ragione per cui il gioco infinito continua”
JAMES P. CARSE

C’è poco da dire, leggere il libro di James Carse “Giochi finiti e infiniti: una visione della vita come gioco e possibilità” è un vero piacere. Ispira, illumina, incuriosisce, e fa riflettere. Una lettura ricca e stimolante che non solo intrattiene, ma esercita un’influenza immediata e potente sul modo in cui potremmo leggere le situazioni che viviamo, le emozioni che tali situazioni generano, i comportamenti che innescano e i risultati che emergono. Sappiamo molto dei giochi in cui concorrenti, strategie, rischi, probabilità sono studiate allo scopo di vincere. Abbiamo riflettuto molto meno sui giochi in cui possibilità, espressività, creazione, cambiamento e potenziale, vengono combinati con l’obiettivo di prosperare.

Per anni, Carse è stato Professore Emerito di storia e letteratura religiosa nonché Direttore di studi religiosi presso New York University. Sorprende che un professore di letteratura e studi religiosi scriva un libro su giochi finiti ed infiniti. Un libro del genere viene tipicamente scritto da professori di microeconomia e matematica. Quando si parla di giochi è inevitabile, infatti, pensare alla teoria dei giochi, che denota un insieme di contributi matematici volti allo studio delle relazioni strategiche tra agenti e agli equilibri che specifiche strategie possono determinare.

Disciplina nata negli anni ’50 a valle dei contributi pionieristici di John Nash, Reinhard Selten e John Harsanyi, la teoria dei giochi è divenuta uno strumento di diffusa applicazione in campo economico, ad esempio per lo studio di equilibri di mercato, ed in particolare, di equilibri determinati dall’interazione strategica tra concorrenti (come nel caso dell’oligopolio), oppure per lo studio di equilibri come esito di contrattazioni nel mercato del lavoro (bargaining). Nel 1994, i tre pionieri sono stati insigniti del premio Nobel per l’economia.

La teoria dei giochi, tra le altre cose, studia gli equilibri che caratterizzano giochi finiti ed infiniti. Tuttavia, tali giochi non sono del tutto assimilabili a quelli di cui parla Carse. Infatti, nel suo libro certamente non convenzionale, Carse propone una definizione e uno studio dei giochi in grado di offrire una visione originale e ispiratrice della vita e delle circostanze nelle quali ci troviamo a viverla.

Per i teorici dei giochi, i giochi sono definiti da giocatori, strategie e payoff. Ogni gioco, quindi, è definito da un preciso insieme di giocatori, da un insieme di strategie che possono essere adottate, e da payoff percepiti a seconda delle strategie giocate. Giochi finiti ed infiniti differiscono solo rispetto all’orizzonte temporale del gioco, che è rispettivamente, a termine o senza termine. Una volta specificato il gioco, sia esso finito o infinito, il teorico dei giochi studia che tipo di equilibrio emerge, vale a dire, chi vince, quanto vince e con quale strategia vince.  

Il punto in cui Carse si discosta di più dai teorici dei giochi è nella definizione di giochi infiniti. Per Carse, invece, quelli finiti sono giochi che hanno un orizzonte temporale limitato, durante il quale un dato gruppo di giocatori adotta strategie con l’obiettivo di prevalere sugli altri giocatori. La vittoria di un giocatore implica la sconfitta degli altri. Quelli infiniti, invece, sono giochi il cui orizzonte temporale è illimitato, ma nei quali i giocatori non sono noti in quanto possono cambiare nel tempo, e le regole e i confini del gioco sono scelti dai giocatori stessi. In modo efficace, Carse scrive: “chi partecipa a un gioco finito gioca nell’ambito dei confini del gioco; chi partecipa ad un gioco infinito gioca con i confini del gioco”. Inoltre, e contrariamente alla teoria dei giochi, Carse non studia gli equilibri che emergono nei due tipi di gioco, ma offre riflessioni ed aforismi sulle implicazioni per i vari giocatori, applicabili alla sfera antropologica, sociale, di business e di vita quotidiana.

Al di là delle differenze tra i due approcci su definizioni e caratterizzazioni dei giochi, che a coloro che hanno familiarità con la teoria dei giochi potranno apparire già rilevanti e piene di significato, la vera portata della prospettiva di Carse appare più affascinante allorché ci soffermiamo su alcune delle sue implicazioni. Proviamo quindi a soffermarci sui alcuni aspetti che rilevano quando parliamo di un gioco, e cioè,

  • obiettivo: nei giochi finiti l’obiettivo è vincere il gioco, prevalere sugli altri giocatori, arrivare al termine del gioco come vincitori. Nei giochi infiniti, invece, l’obiettivo dei giocatori è preservare il gioco e sé stessi nel gioco.  
  • Identità e ruolo dei partecipanti: non ci relazioniamo agli altri come le persone che siamo, ma siamo le persone che siamo perché siamo in relazione agli altri. Il fatto che la nostra identità dipende dalla relazione con gli altri significa che sono gli altri ad imporci un’identità? O piuttosto la nostra individualità dipende dal ruolo che noi attribuiamo agli altri e dalla relazione con gli altri che consegue da tale attribuzione? Nei giochi finiti i partecipanti sono potenziali terminatori del gioco. Nei giochi infiniti, invece, i partecipanti sono facilitatori del gioco, fonte di espressione e prosperità piuttosto che una minaccia alla sopravvivenza.
  • potenza dei giocatori: I giochi finiti sono essenzialmente giochi di potere, acquisizione di potere, espansione del potere e salvaguardia del potere. I giochi infiniti, invece, hanno a che fare con la forza. In un gioco infinito, un partecipante è forte non perché può imporre agli altri il proprio volere come risultato del suo gioco con loro, ma perché può permettere agli altri di fare ciò che desiderano nel corso del suo gioco con loro.
  • limiti: partecipare ad un gioco finito implica accettare l’esistenza di limiti entro i quali giocare. Ciò distorce i comportamenti ed evidenzia, per contrasto, le possibilità straordinarie che emergono quando invece rifiutiamo i limiti, come accade adottando una prospettiva di gioco infinito.
  • cambiamento: nei giochi finiti il cambiamento è l’unica fonte di discontinuità. In un contesto in cui giocatori, tempo di gioco, regole del gioco, campo di gioco e risultati possibili sono dati, il cambiamento di uno di questi elementi non può che stravolgere il gioco, le strategie e gli esiti. Nei giochi infiniti, invece, il cambiamento è l’unica fonte di continuità. In un contesto in cui giocatori, tempo di gioco, regole del gioco, campo di gioco e risultati possibili non sono dati, il cambiamento di uno di questi elementi non cambia il gioco, che rimane aperto al possibile.
  • concorrenza vs complementarità: in un gioco finito, ogni giocatore desidera prevalere sugli altri. La prospettiva è prettamente concorrenziale. In un gioco infinito, ogni giocatore promuove un universo di possibilità per sé e per gli altri, adottando una visione prettamente complementare del ruolo degli altri giocatori. Mostrando capacità di poter creare potenziale e possibilità, i partecipanti ad un gioco infinito hanno maggiori possibilità di attrarre altri giocatori in un gioco infinito e sostenere il gioco infinito stesso.
  • probabilità vs possibilità: nei giochi finiti, gli esiti possibili sono noti e il gioco determina quale esito prevale. Siamo nel regno delle probabilità e del rischio con il quale gli esiti del gioco potranno emergere. Nei giochi infiniti, gli esiti possibili non sono noti e il gioco determina senza sosta nuovi esiti possibili. Siamo nel regno dell’incertezza, nel quale è possibile valutare possibilità e scenari.

Dalla discussione di questi elementi emerge chiara la ragione per cui la distinzione tra giochi finiti ed infiniti proposta da Carse sia importante quando si parla di contesti VUCA. Per continuare a giocare in un contesto in continuo cambiamento, i giocatori dovranno far gara su di essi, non sugli altri. Ciò determina un cambiamento drastico della prospettiva: in un gioco infinito non c’è mai vittoria. L’unica vittoria è continuare a giocare. Ne consegue che, al fine di preservare il gioco, ciascuno dei suoi partecipanti interagirà con gli altri per creare i presupposti per rendere il gioco infinito. Il proliferare delle azioni possibili crea un universo di possibilità e quindi i presupposti per rendere il gioco infinito.